INTERVISTA MAX SMERALDI SU MALU'

15.11.2009 21:02

Fanzine MALU n. 2 del mese di novembre 2009
di Federica Silvestrini


Non a caso un chitarrista come Max Smeraldi ha sfornato un disco a dir poco sublime, non a caso, questo disco è stato definito dallo stesso autore: “un disco un po’ di tutti” e questo perché attorno alla realizzazione di questo capolavoro c’è stata la fattiva collaborazione di più persone, composta soprattutto dai suoi più stretti amici che presi dall’entusiasmo di questa nuova ed ennesima operazione del loro famoso amico chitarrista, hanno contribuito non poco a dargli una mano. Smeraldi nel frattempo aveva già iniziato le prime fasi della registrazione del demo, eseguito poi di nuovo in studio di registrazione in maniera definitiva e che ha portato ad ottenere finalmente l’agognato prodotto ghiotto per gli speakers radiofonici, che nella quasi totalità dei casi, all’ascolto dell’album, dell’ormai icona della 6 corde, riferiscono quasi all’unanimità di immaginarsi in viaggio da una qualsiasi strada del deserto del New Mexico sino a raggiungere le spiagge di Portland. Raggiunto telefonicamente, chiediamo a Max di poterlo incontrare. Prendiamo appuntamento al porto di Civitavecchia dove facendoci accomodare ad un tavolo dell’Autogrill come suoi ospiti, con la gentilezza e la signorilità che lo hanno sempre contraddistinto si è messo a nostra disposizione. Dopo aver ordinato, sorseggiando i nostri drink, abbiamo fatto partire l’intervista rivolta ad uno dei più conosciuti ed apprezzati chitarristi rock d’Italia e non solo…

MaluWebReport: Allora Max, grazie per averci ricevuto, siamo all’uscita del tuo ennesimo album. Come ti senti in questo momento e cosa hai voluto raccontarci questa volta?

 

MAX: “E’ un disco che racconta il percorso fatto da un essere umano con molte sofferenze e disagi vissuti in un momento particolare della propria vita e dove la solitudine ha fatto da padrona assoluta”.

 

MWR: Qual è stato secondo te il momento musicale del disco dove si evince in maniera più palpabile questa sofferenza?

 

MAX: “I momenti più salienti sono sicuramente “Autumn song” e “By oneself” dove nel primo c’è una forte consapevolezza di quello che fino ad allora c’era stato e che da li in poi non ci sarebbe stato più. Non a casoè stato scelto proprio il periodo autunnale dove tutto si spoglia di quello che sino a poco prima era più rigoglioso, lasciando come uniche compagnie rimaste la solitudine ed il silenzio. In “By oneself” invece c’è la manifestazione di desiderio di tutto ciò che avrebbe potuto essere e che invece non è stato.”

 

MWR: Questa solitudine raccontata nel tuo disco è parte di storia vera di vita vissuta o è solo una ispirazione che ti ha portato a scrivere per raccontarci questi sentimenti?

 

MAX: “No! Sono momenti di vita realmente vissuti e che hanno fatto parte della mia vita fino a poco tempo fa ma che tuttavia non rinnego anzi ringrazio per avermi dato modo di esprimere tante sensazioni diverse percepite poi dall’ascoltatore come emozioni simili a quelle che volevo dare. Nel contempo ringrazio Dio che questo momento sia finito perché era veramente troppo…”

 

MWR: Ora che queste sofferenze e disagi non ci sono più pensi di aver perso una vena creativa oppure ti rivolgerai a te stesso chiedendoti di raccontare altre storie magari con il rischio di non avere più quel sentimento così forte che ti ha invece fatto scrivere cose tanto romantiche?

 

MAX: “Ma… vedi… la vita è piena di cose brutte e di cose belle. Su “Our Shadows”
sono riuscito a raccontare delle situazioni che belle non lo erano affatto. Ciò non toglie che non tutto il disco racconta di disagi e di sofferenze, ci sono momenti di assoluta allegria e poesia dove viene esaltata la bellezza del mondo, delle donne, la grandezza del tutto, quel tutto che quasi sempre ci fa stare bene ma che a volte ci presenta anche il conto. Sicuramente nel prossimo disco si racconteranno cose di natura diversa augurandomi sempre di mantenere lo stesso stile ed espressione compositiva.”

 

MWR: Quanto è giusto secondo te raccontarsi senza lanciare in pasto all’opinione pubblica i propri sentimenti?

 

MAX: “Credo che non ci sia una ricetta o una misura fissa da non oltrepassare mai. Credo dipenda dallo stato d’animo del momento, da quanto hai bisogno di chiedere aiuto e/o consensi da parte del tuo pubblico, da quanto hai paura di essere da lui giudicato, soprattutto se male, o per esporsi nel raccontare delle cose per le quali potrebbero dissentire. In fondo un disco è sempre autobiografico anche se ti prefiggi di non esserlo, tanto… te ne accorgi sempre per ultimo e soprattutto dopo un po’ di tempo che è uscito, quando ti accorgi che chi ti intervista ti chiede cose che centrano in pieno i sentimenti privati che credevi di essere riuscito a raccontare solo marginalmente se non addirittura essere riuscito a celare.”

 

MWR: Tu sai che è perenne l’unità di misura che ti affianca a Y. Malmsteen e che fa discutere non pochi Kids e fans di entrambi sia su Youtube che su MySpace e sembra sempre più spesso a tuo favore rispetto al chitarrista svedese. Cosa ne pensi di questa situazione?

 

MAX: “Penso che sarebbe ora di farla finita con questa storia. E’ da un sacco di tempo che va avanti questa sfida messa in campo solo dai rispettivi Kids. Lui fa quello che gli piace fare, come a me piace fare quello che faccio. Anche se la tecnica chitarristica è quasi identica ognuno di noi fa quello che vuole, e soprattutto cose differenti, ecco perché non bisogna aprire una sfida dal sapore sportivo su un tipo di arte che di sportivo non ha proprio niente. Tra le altre cose, a parte la tecnica uguale che ci inserisce all’interno della stessa scuderia chitarristica, le mie composizioni sono completamente diverse dalle su. Su “Our Shadows” compare solo un brano su dodici dove si sente la stessa scuola di tecnica: “Autumn song”, lì verso la fine si sfrutta un accordo maggiore sul quale ho usato arpeggi diminuiti, ma solo in quella occasione. Il resto del disco non ha niente a che vedere con lo stile tecnico e compositivo di Malmsteen. Questo tengo a precisarlo perché per quanto bravo, per quanto belle possano essere le sue composizioni io ho le mie. Non voglio sostenere che siano più belle delle sue, tra l’altro sono due mondi diversi poi, semmai, questo lo decideranno i Kids, quando e se smetteranno di litigare.”

 

MWR: Quando esci dal vivo sei universalmente definito e considerato come un animale da palco quasi inavvicinabile o irraggiungibile. Uno Smeraldi che scende dal palco, che tipo di persona diventa?

 

MAX: “Sicuramente torna ad essere quello che era appena prima di salirci, con i normali impegni quotidiani, i problemi di tutti i giorni, le tasse da pagare, i problemi delle prove, dei musicisti con i quali suona e che giustamente hanno una loro vita da far combaciare con la sua. Insomma torna ad essere una persona normale che fa parte della stragrande e silenziosa maggioranza della popolazione di questo mondo. Certo, è che comunque, vuoi o non vuoi, essendo un personaggio minimamente pubblico capita a volte che ti riconoscono al volo o ti chiedono di fare una foto, o un autografo, ma questo è normale ed è una cosa che apprezzo tantissimo e che faccio con estremo piacere di fronte alla quale non mi tiro mai indietro.”

 

MWR: Pensando ai chitarristi ora in erba, alcuni dei quali potrebbero diventare il futuro della musica, quale consigli ti senti di dare loro?

 

MAX: “Di solito i consigli servono a farti fare sbagli diversi da quelli che faresti qualora decidessi da solo! Infatti secondo me non andrebbero mai dati. A parte gli scherzi, in tutta coscienza, suggerirei loro di non dar retta alla chiacchiera con la quale si inneggia gratuitamente di non sembrare come quello o come quell’altro, ma essere se stessi. E’ impossibile crearsi uno stile personale senza avere riferimenti precedenti. E’ come voler diventare un docente senza che alcun professore ti spieghi e insegni la materia. E’ bene e giusto all’inizio seguire il percorso di un altro, poi, che a un certo punto si possa deviare un po’ e prendere un'altra strada, magari parallela è anche possibile e auspicabile, ma sarà sempre parallela e non sarà mai diametralmente opposta. Ogni strada che percorriamo è già stata camminata da qualcuno. L’augurio che faccio ai più giovani è quello di imparare a suonare come meglio possono al di la di chi prendono come esempio. La vera innovazione è nella composizione, non nella tecnica che bene o male rimpasta periodicamente da sempre con qualche piccola modifica quello che in fondo tecnicamente è sempre esistito.”

 

MWR: Ma ora torniamo al tuo disco. E’ stato estremamente curioso vedere nel booklet e nell acopertinadel tuo CD comparire tanta femminilità. Perché una Squier rosa? E perché una Squier anziché una Fender originale?

 

MAX: “La musica è femmina, in tutti i sensi. La chitarra lo è altrettanto, soprattutto con un baby-doll rosa che la rende ancora più sexy. Se vogliamo, un po’ tutto “Our Shadows” è la risposta ad una ispirazione prettamente femminile, dalle armonie palesemente più romantiche alle foto della copertina e del booklet dove le ragazze fotografate sono addirittura l’oggetto di un brano del disco. Per quanto riguarda la scelta della Squier è stata fatta appositamente perché sono chitarre leggere, comode, ottime per lo studio di registrazione con un volume d’uscita alto. Di conseguenza si prestano molto bene alle richieste di suono da lavorare da parte dei fonici di studio.

 

MWR: In brani come “Poison” o “Wild horse boogie” e “Highway” si nota una potenza incredibile. Sono brani di rivendicazione di qualcosa o pura espressione di energia?

 

MAX: “Sai… i brani fini a se stessi per quanto belli possano essere non servono a molto, o meglio, servono solo nella misura in cui l’attenzione dell’ascoltatore è dedita ad un unico particolare che ti può interessare. “Poison” e “Wild horse boogie” hanno effettivamente in comune una caratteristica che li cataloga nella schiera più hard del disco ma i loro messaggi sono differenti seppur provenienti dallo stesso stato d’animo. “Poison” è il conato di vomito liberatorio di tutto ciò che fino ad allora intossicava e che ora si è riusciti ad espellere mentre “Wild horse boogie” pur rimanendo in un contesto di rivendicazione, è la manifestazione di quella potenza che si scatena dentro di te senza poter riuscire a fermarla così come la lava spacca la roccia che la ricopre. “Highway” è un momento del percorso di viaggio fatto a trecento all’ora per allontanarsi il più velocemente possibile da quello stato d’animo e fisico di ci parlavamo prima.”

 

MWR: Ascoltano l’ultimo brano del CD “Touch of angel” si rimane ipnotizzati dalla magia di una immagine di pace assoluta che si percepisce. E’ questo ciò che volevi per l’ascoltatore? 


MAX: “Certamente si. Per quanto riguarda “Touch of angel” l’immagine che ho cercato di dare è quella del rientro di una barca da una battuta di pesca con il seguito dei gabbiani dove in una rossa alba una persona lentamente cammina sulla spiaggia lasciando le sue impronte che dopo qualche istante gli svaniscono dietro mentre ne compone delle nuove e questo ha il significato di come ci sia vicino il poter cancellare ciò che è stato il nostro passato prossimo, soprattutto se ci ha fatto male. Questa immagine vuole significare nel suo insieme, il percorso dello spirituale ritorno a casa anche se non è ancora completato. Un equilibrio ritrovato di chi non è più arrabbiato con il mondo perché ormai sa ciò che vuole e che serenamente può o meno chiedere ed ottenere dalla propria vita.”

 

MWR: Passiamo ai tuoi musicisti. Cosa ci dici di loro?

 

MAX: “I musicisti che hanno partecipato alla realizzazione di questo progetto sono Roberto Serafini il mio tastierista. Lui ha scelto i suoni, ha partecipato attivamente sin dalla realizzazione della iniziale demo che poi è stata registrata di nuovo in studio in maniera definitiva. Mantiene poi tutti i contatti a livello di web e di ciò che riguarda la parte informatica della mia attività oltre a gestire il mio sito ufficiale. Poi il batterista Carlo Scala, che ringrazio. Lui ha partecipato a due o tre sedute di record track suonando la batteria su tutti i brani, poi, poco prima della presentazione live ha abbandonato il progetto. Il basso l’ho suonato io e questo è quanto. Il primo Live invece è stato realizzato con una line up composto da Roberto Serafini, Marco Angeli al basso e Diego Perna alla batteria (attualmente il batterista è Sergio Alexanian. [NdR]). Il bassista Marco Angeli è stato poi sostituito, su sua richiesta con Tommaso Conti, che conosco dall’84.”

MWR: Leggendo su internet l’articolo che è stato scritto circa il concerto del Matuna a parte la critica che si è esaltata insieme ai proprietari del locale, sembra emergere una tipologia di Live nostalgica degli anni 70/80’, un Live concert molto in linea con un Monterey Pop Festival o con un Made in Japan, è stat una scelta voluta per quell’occasione o uno stile che comunque ti accompagna da sempre?

 

MAX: “… Direi che il mio Personal Live Style è quello, ma lo stile un po’ datato non risparmia comunque fatiche e sacrifici a livello di impegno precedentemente rivolto al live stesso. Ad esempio, non sai quante volte siamo dovuti andare al locale per visionare attentamente il posto riservato all’esibizione, fare foto, prendere appunti per fare calcoli per le dinamiche del suono e per perfezionare la tipologia di strumenti e amplificazione da usare, quale tipo di set up effettistico adottare per far uscire il suono nel migliore dei modi per non parlare poi dell’aspetto organizzativo per gli invitati speciali etc. etc. Alla fine i fatti ci hanno dato ragione, ma sapessi quanta fatica è costata.”

 

MWR: Avremo occasione di vederti presto live o in qualche programma radio o tv che ti ospiterà per continuare la presentazione di questo tuo ultimo grande lavoro?

 

MAX: “Mi auguro proprio di si! Anche perché è l’unico veicolo che ho a disposizione per poter farmi vedere ed ascoltare. Ora stiamo organizzando una serie di interviste radiofoniche con qualche emittente o web radio. Speriamo che questo incrementi gli ascolti e la richiesta di qualche live.”

 

MWR: Hai già delle idee per quello che ci racconterai nel prossimo CD?

 

MAX: “Direi di si ma ancora è un po’ troppo presto per parlarne.” 

 

Fonte: Intervista MALU.pdf (223,1 kB)